Vino Santo

Viviamo in un’epoca dove tutto scorre velocemente. Il fasto del …fast. Del ‘tutto e subito’, con la capillare diffusione (contagio) dei “social” che ci permette di accedere senza soluzione di continuità a notizie, fatti, eventi, senza lasciarci neppure il tempo di pensare, riflettere. Siamo costantemente immersi in un vortice che regola l’avanzare del nostro tempo. Questo si ripercuote anche nel mondo del vino, dove le richieste del mercato ci inducono a vendemmiare, vinificare ed imbottigliare in tempi rapidi affinché la nuova annata possa essere venduta sempre prima.
Poi c’è la vigna che scandisce i tempi e i ritmi della natura e ci riporta al significato vero ed autentico di ciò che vuol dire fare il nostro mestiere. Ma fortunatamente c’è un vino, ormai perla rara, che con forza ci riporta ad una dimensione ormai dimenticata.

Il Vino Santo Trentino

E’ il Vino Santo Trentino, che a Toblino amiamo definire come ‘il vino dell’attesa’. E’ il vino che dobbiamo aspettare: sia quando l’uva Nosiola, pura identità trentina, è in vigna e deve diventare matura, dorata, sia quando – riposta sui graticci – dovrà pazientemente attendere la Settimana Santa per essere pigiata. Per ulteriore attese. Fermentazioni sapienti, scandite dall’ andamento delle lune, evoluzione e affinamento che dura negli anni. Per concludere il suo magico iter solo 10-15 anni, messo in bottiglia dopo la spremitura ‘pasquale’ delle uve. Un vino che con cura noi accudiamo e che con orgoglio lasceremo alle generazioni future. Rilanciando il fascinoso segreto del Vino Santo: la pazienza.

La storia del Vino Santo Trentino

Ha il fascino dell’esclusività, nettare raro, unico, memorabile. Talmente impareggiabile da essere tutelato come ‘vino a rischio d’estinzione’. Sull’origine del nome, sul perché si chiama così e sul suo significato intrinseco s’è scritto, discusso e fantasticato a lungo. Lo sarà ancora. Inesorabilmente. Perché pochi altri vini possono vantare nel nome una parola che evoca sogni, rilancia momenti di piacevolezza, soddisfa il presente recuperando il passato e – contemporaneamente – rilancia il futuro.

Ecco il Vino Santo trentino è l’insieme di tutto questo, e non solo. E’ il semplice difficile da farsi, è l’assoluto o il niente. Contrapposizioni, sfide, piacevolezze. Scandiscono i ritmi rurali, i cicli della vite sincronizzati quasi con quelli della vita. Un vino dolce che ha la sua forza nell’acidità. Equilibrio suadente, con possente gentilezza, tra vigoria e setosità. Mai monocorde. E’ il passito che ricorda il sapore dell’uva appena raccolta e immediatamente rilancia altri sentori, stimola sensazioni gustative che richiamano alla mente saperi dimenticati, custoditi, sedimentati in una memoria enoica di una minuscola comunità di viticoltori. Saperi che possono essere tramandati, scoperti e rilanciati proprio grazie all’assaggio di questo vino autenticamente trentino.

Dolce per antonomasia, e dunque indiscutibilmente buono. Del resto ha dalla sua parte anche il rafforzativo ‘santo’. Che non è una definizione di poco conto. D’accordo, probabilmente è ‘santo’ siccome le uve che lo generano sono pigiate la settimana santa, poche ore prima della Pasqua. ‘Xantos’ erano chiamati pure i vini che anticamente giungevano fin sulle Alpi – tramite navi veneziane – dalle isole greche, Santorini in primis, vini dolci, preziosi, forti nel grado alcolico, nella mielosa consistenza, spessi e – diciamolo pure – quasi sempre scissi nel rapporto sapore/aroma. Magico quanto microscopico risultato – il ‘santo trentino’ – della più schietta tradizione enologica dolomitica.

La Valle dei Laghi

Nasce solo ed esclusivamente nella Valle dei Laghi – la vallata tra Trento e il Garda, disseminata di otto specchi d’acqua, laghi alpini tra l’azzurro dei monti e il verde del fondovalle – sfruttando altrettante esclusive peculiarità: le uve Nosiola e l’Ora del Garda. Uva e clima. Viti da secoli coltivate su campi strappati alla montagna. Su terrazzamenti che hanno fortunatamente impedito lo sfruttamento intensivo del territorio. Qui non si vedono vigneti senza imperfezioni. L’estetica è ancora frutto della mano dell’uomo, del vignaiolo. La mano sicura ha piantato ‘ad occhio’ il filare, rispettato il crinale della collina, la (giusta) direzione dell’esposizione verso il sole del pomeriggio. L’occhio non è attirato da vigneti con piante disposte secondo i parametri dell’indicatore satellitare (GPS) quelli che rendono tutto ordinato, tutto uguale, distanze calibrate al centimetro, file quasi infinite di viti perfette nella loro esteriorità, che spuntano su terreni curatissimi, spogli, diserbati, senza spontanei fiori di campo.

Sulle ‘fratte’, al contrario, tra i ceppi di Nosiola in primavera si raccoglie il tarassaco, fanno capolino papaveri, dai sassi che sorreggono la terra fertile spuntano quasi per magia i fichi, piante veri e propri monumenti vegetali. E ancora: noccioli selvatici (‘nosiola’, in dialetto, vuol dire anche ‘nocciolo’) ciliegi, e pure il gelso segna ancora con l’ulivo il paesaggio. Ulivi del nord, piante che segnano il limite settentrionale massimo per ottenere olio extravergine. Olivi sparpagliati nei contenuti vigneti. Filari di piante incastonate tra rocce squarciate da atavici smottamenti, sassi frantumati, terreni sorretti da mura ‘a secco’, minuscoli appezzamenti – chiamati appunto ‘fratte’ – esposti al sole e sempre carezzati dal vento.

L’ora del Garda.

Da quell’Ora del Garda, soffio benefico che mitiga il clima, condiziona le stagioni, aiuta a maturare l’uva, ma soprattutto consente l’appassimento dei grappoli destinati al Vino Santo. E’ sempre l’Ora – chiamata così dal latino ‘aura’, brezza docile, gentile, al punto da essere definito ‘aura aurae’, oro per colture e vivibilità – che prima aiuta le uve Nosiola a maturare in pianta, poi a seccare i grappoli concentrando gli zuccheri nei chicchi. Nosiola che solo in questa zona è in grado di dare due vini. Uno completamente diverso dall’altro. Appunto contrapposti: Nosiola spensierato, bianco grazioso, amarognolo, gioviale e – dalla medesima varietà d’uve, opportunamente cernite, oculatamente accudite e vinificate – far nascere il Vino Santo, il ‘Passito dei passiti’, il vino della meditazione.

Nessun altro vino al mondo viene prodotto con uve lasciate in appassimento naturale così a lungo! Quando – aggredite da muffe nobili, chicchi apparentemente marci, in realtà pregni di zuccheri e indelebili, preziose componenti organolettiche – le uve vengono pigiate, per dare il via alla magica vinificazione del Vino Santo Trentino DOC. Bisognerà però attendere almeno sette o otto anni prima che il mosto abbia compito tutte le sue naturali, lentissime, affascinanti trasformazioni. Solo allora il nettare è pronto.

Produzione di nicchia, con Cantina Toblino leader indiscussa, da sempre protagonista nella difesa di questo cimelio enologico. Per un vino decisamente raro, unico.

Last modified: Settembre 16, 2021